Ma il treno dei desideri…

Oggi ho vinto la mia malevolenza verso il treno.

No, diciamo le cose come stanno.

Odio ancora tantissimo prendere i mezzi pubblici ma l’ho preso.

E mi sono seduta in mezzo ai vagoni, non sulla parte a fisarmonica eh, intendo nel corridoietto tra un vagone e l’altro.

Sono salita, li ho guardati attraverso la porta a vetri ho avuto un mancamento e mi sono immobilizzata, meglio persino di quando da bambina giocavo ad 1,2, 3 stella!

Ho tirato giù sta specie di seggiolino e mi ci sono appollaiata sopra; sembro una cocorita, mi mancano solo i semi di girasole accanto e la pipetta dell’acqua.

Ora dietro alle mie spalle c’è un mondo e tra me e lui, una porta a vetri a molla, mi sento meglio e al sicuro.

Sia mai che qualcuno volesse interagire con me alle 6 la mattina o mi volesse dire dove andasse, che lavoro facesse o quanti figli avesse.

Fingere che me ne freghi qualcosa mi viene già duro dopo lo 9.30, figuriamoci all’alba.

Pare comunque che la mia scelta sia stata condivisa anche da altri due, seduti sugli altri due trespoli.

Pensavo che qui la gente ci si sedesse solo quando dentro al vagone non si trovassero più posti, invece no, qui ci si siede quando della tua popolazione ne hai davvero le palle piene.

Infatti, ora che guardo i miei due compagni di viaggio occasionali, hanno una faccia da incazzati paurosa.

Siamo tre col broncio seduti su dei seggiolini mobili in mezzo ai vagoni.

Io perché ora devo scrivere ma la regola d’oro in questi casi è “faccia fissa verso il finestrino” alternando a ritmo scandito da leggi sulla plafoniera della luce di emergenza X volte “attenzione uscita, vorsicht ausgang, attention sortie, beware exit”.

Ogni volta sempre come fosse la prima, mi raccomando.

Abbiamo tutti dai 40 anni in su, quell’età che molto spesso fra da spartiacque tra l’infinito amore per il prossimo e la totale negazione di appartenere a qualsiasi specie animale, specie se questa umana.

Sono certa che uno dei due abbia almeno 2 gatti.

Ora alla stazione della ridente cittadina “Pioltello” la folla si è accalcata nel nostro lounge solitario.

I vagoni si sono riempiti e loro sono stati costretti a spostarsi anche qui.

Loro non sono noi, loro ripiegano sul nostro spazio vitale da eremita perché il mondo non li vuole.

Loro vorrebbero unirsi a loro ma la legge del “chi primo arriva meglio alloggia li ha fregati”.

Infatti parlano tra di loro, sono gentili e aperti al dialogo: truffatori e ipocriti.

Stanno qui ma vorrebbero star di là.

E fissano la porta a vetri sperando che qualcuno gli conceda l’ambito posto, con occhi pieni di speranza e faccino da gattino intirizzito sotto la pioggia.

E noi 3, ognuno a debita distanza nel proprio angolo, silenziosi e rispettosi della nevrosi altrui, siamo riempiti nel mezzo da questi vogliosi di condividere ossigeno riutilizzato da qualcun altro.

Stazione di Lambrate: comincia la migrazione.

Io e il mio clan giriamo la testa in perfetto tempo sincronizzato verso il portellone aperto cercando di trarne più ossigeno nuovo possibile.

Mentre quei pochi di loro rimasti qui, perché quando la musica si è fermata, tutte le sedie erano ormai prese, continuano imperterriti ad informarci di tutti i cazzi loro.

Pare che questi umani debbano per forza parlare: quanto riempiono gli spazi con i loro zainetti, riempiono l’aria di suoni.

Perché l uomo si sentirà sempre a disagio stando in silenzio davanti a dei suoi simili?

Noi prima dell’avvento dei chiaccheroni ci stavamo da Dio.

Manca l’ultima fermata, Milano Centrale e scendiamo tutti.

Una colonoscopia, mai fatta premetto, sarebbe passata prima e sarebbe stata meno invasiva.

Ora ho un convegno, torno seria.

E se tornassi anche in autostop sarebbe meglio.

“Unabomber”

Quando dico che le vite non dovrebbero essere giudicate solo dall’età cronologica che si è raggiunta, intendo dire che si possono vivere 40 anni talmente intensamente che persino un centenario risulta essere un teenager a confronto.

Aeroporto di Schiphol, venerdì sera.

Chiunque abbia tentato di lasciare l’Olanda attraverso i check in di questo aeroporto, sa benissimo quanto i controlli di sicurezza siano molto rigidi.

Certo, da una abituata a quelli di Tel Aviv, paiono forse un pic nic all’Idroscalo.

Comunque mentre sono in fila, mi premunisco di svuotare la borsa, buttare via due mandarini e persino, attenzione eh, togliermi le mollettine che avevo in testa, così, giusto per evitare che al body scanner suonassero e mi rallentassero il tanto agognato momento del Duty Free.

Pensate a quanta cura io abbia messo nell’essere il viaggiatore ideale per gli Olandesi, quella che arriva lì e sguscia velocemente via senza intoppi.

Arriva il mio turno: tolgo scarpe, sfilo cintura, svuoto le tasche dalle monetine e tutta sorridente, mi avvio al controllo.

Forse un po’ troppo sorridente per loro, perché il body scanner non suona ma vengo fermata per i controlli antidroga.

Va beh mi dico, anche in Usa la stessa cosa: i miei colleghi passano e io vengo setacciata e tamponata ovunque per scovare qualche granello di sostanza illegale.

In effetti dovrei smetterla di sorridere, almeno lì cazzo, oramai è chiaro che ai controlli ‘sta cosa puzzi molto.

Probabilmente non capiscono che i miei viaggi siano in maggior parte, viaggi di lavoro e che quindi risulti normale che io sia ben contenta di tornarmene a casa.

Va beh, la ragazza apre la mia borsa e inizia a passare il tampone, io tutta tranquilla visto che a parte le sigarette, so per certo che non troverà nulla, la guardo sempre sorridendo.

Inserisce il tampone e ovviamente il livello è zero: manco tracce di paracetamolo o di magnesia per digerire.

Sta per richiudere il tutto e congedarmi quando sente qualcosa di solido in fondo alla borsa.

La riapre ed estrae il mio portachiavi.

Chiunque mi conosca sa già cosa io abbia attaccato al mio portachiavi.

“What is it? Mi chiede la poliziotta.

“A kubotan” rispondo ingenuamente io.

“And what is it a Kubotan?” replica lei.

“It’s a self defence arm” così, mi esce senza pensarci.

Quell’ultima parola, Arm, arm, arm inizia a riecheggiare in tutto l’aeroporto.

Lei mi guarda tenendo in pugno il mio stick di metallo e seria fa “You just said arm, that’s right?”.

No ma davvero ho appena detto ad un’ufficiale di polizia che stavo cercando di portare a bordo un’arma? Io che ho appena levato dai capelli due forcine di stagno da 3 cm?

“No, wait” esclamo io, cercando di spiegarle che sì, sarebbe un’arma ma che in un certo senso, inoffensiva.

Lei senza batter ciglio e tenendo sempre in pugno il mio Kubotan, prende il vassoio delle mie cose e mi chiede di seguirla, indicandomi una stanzetta dietro le sue spalle.

La maggior parte delle donne, se non tutte, vengono fermate per cremine e profumi, io no, io devo sempre distinguermi, io vengo presa, portata in una stanza, fotografata, sequestrata del passaporto e della carta d’imbarco e lasciata in attesa un’ora.

Entrano servizi segreti, due del Mossad, tre dell’intelligence olandese e persino 4 operatori ecologici e tutti hanno lo stesso sguardo: quello attraverso il quale si osserva una che voleva compiere una strage.

Credo abbiano controllato anche se avessi pagato la rata della palestra nel giugno 1999, fatto la comunione o scioperato al Liceo per la guerra del Golfo.

I primi dieci minuti riuscivo ancora ad essere sorridente, poi ho iniziato leggermente a dimostrare un certo allarmismo.

A quanto pare la procedura che avevano in mente di attuare non era come quella volta che portai una crema antisolare di 250 ml, cioè non puoi portarla a bordo e te la buttiamo via noi.

Questi di buttare via quel maledetto bastoncino non ci pensavano minimamente, questi se lo tenevano ben stretto in mano, passandoselo ripetutamente e cercando di capire se si potesse aprire, se si potesse estendere e perché no, se si potesse far esplodere.

Mentre io continuavo ossessionatamente a ripetergli “it’s simply a metal stick”.

Siccome mi piace fare la figa, la carta d’imbarco era elettronica, così mi hanno sequestrato anche il cellulare che, pensate la follia, mi sarebbe invece piaciuto avere per poter googlare “pene per trasporto di armi a bordo Olanda”, così, per passare un po’ il tempo e capire meglio se l’arancione fosse il colore usato anche per le divise nelle carceri.

E in quello stato misto tra catatonico e dead woman walking mi hanno lasciato fermentare per quasi due ore che ormai mi vedevo come nei programmi Tv portata via e processata per direttissima.

Leggevo già mentalmente i titoli sui quotidiani del giorno dopo.

” Nuovo attacco dell’Isis sventato ad Amsterdam”

“Donna italiana si finge drogata per sviare i controlli e introdurre sul volo un’arma contundente”.

” I vicini di casa dell’attentatrice dichiarano: lo sapevamo che non era una bella persona”.

Alla fine, arriva il capo e mi dice ” le è andata bene, vada”

Mi ridanno tutto, tranne ovviamente il Kubotan.

Sfilo davanti al Duty Free senza nemmeno un minimo di rimorso.

Arrivo all’imbarco e mi lascio cadere esausta sulla sedia.

Arm, arm, arm, rieccheggia ancora ovunque e addirittura sul tabellone delle partenze leggo “Departures AmsterdARM”

Che deficiente, LE MOLLETTINE oh, vacca boia e poi avevo un manganello in borsa.

Gent.issima Redazione de L’Eco di Bergamo,

vorrei portare alla Vostra attenzione un episodio accadutomi lunedi sera, il quale ritengo che oltre ad essere stato pericoloso per la mia persona, sia grave e lesivo per l’immagine della nostra città.

Per meglio spiegarvi il tutto, vi faccio una premessa.

Per presenziare ad un convegno che si è tenuto a Roma, ho scelto per la prima volta di raggiungere la capitale in treno, grazie anche a questo Treno Alta Velocità che senza cambi, mi avrebbe condotto in sole 4 ore a Roma.

Avevo previsto di coprire il tragitto casa/stazione/casa in taxi sia, mi ricordavo perfettamente che la voce registrata dicesse chiaramente che il servizio fosse offerto h24.

All’andata provo a chiamare il loro numero ma risulta staccato, scopro solo dopo essermi arrangiata in altro modo che avevano in corso un disservizio con la compagnia telefonica, va beh, mi dico, sarà per il ritorno.

Arrivo a Roma e mi godo il week end.

Lunedì sera riparto alle 18.45 da Roma e arrivo alla stazione di Bergamo alle 23.15.

Sbuco dalla porta della Stazione ma di un taxi nemmeno l’ombra.

In compenso 3 uomini mi si parano davanti offrendomi il loro “taxi”.

– ma siete tassisti? Chiedo io.

– sì, sì, tutti taxi.

– posso pagare con carta di credito?

– no, ma se non ha contanti, la portiamo ad un bancomat!

Non mi soffermo sulla descrizione dei personaggi o dei loro veicoli ma se sono arrivata viva a 41 anni è proprio perché ho evitato di accettare passaggi così nel pieno della notte.

Li congedo con una scusa e mi metto sotto il cartello taxi.

Chiamo il numero sostitutivo alle ore 23.25, un operatore mi risponde.

– Buonasera, mi serve un taxi al piazzale della stazione di Bergamo.

Lui non mi mette nemmeno in attesa e mi risponde “aspetti lì, qualcuno prima o poi arriva”.

Che strano, prendo taxi da una vita ma mai nessuno mi ha risposto così.

Di solito il centralino ti comunica la sigla del taxi e i minuti di attesa, poi nel caso volessi accettare, riagganci oppure rifiuti.

Va beh, 0 gradi, piazzale deserto, io sola con una valigia da 23 kg e tanti ma tanti samaritani che vorrebbero darmi un passaggio in macchina.

Dopo 20 minuti richiamo: solita voce, solita risposta.

Decido a mezzanotte e 20 di darmi per vinta e incamminarmi verso casa, anche perché vi assicuro che più stavo ferma lì sola, più attiravo l’attenzione.

Inoltre la voce preregistrata mi aveva avvisato che qualora il tassista non mi avesse trovato raggiunto il piazzale, avrebbe usato il mio cellulare per chiamarmi, quindi mi sono detta: se arriva, gli dico di raggiungermi al punto in cui sono arrivata.

Niente, nessuno mi ha richiamato.

Sono arrivata a casa all’1 e 20 di notte, intirizzita, stanca ma per fortuna sana ed intera.

Il giorno dopo ho scritto sulla bacheca del Radio Taxi Bergamo chiedendo spiegazioni ma soprattutto scuse: a me non è capitato nulla ma se domani capitasse a qualche ragazza?

Nessuno mi ha risposto; come al solito, l’atteggiamento di menefreghismo rimane la costante di questo servizio.

Ma qualcuno legge le 40 e oltre recensioni negative lasciate su Google, soprattutto da turisti stranieri?

Dateci un’occhiata, una vergogna per una città come Bergamo.

Mi è stato consigliato di utilizzare la prossima volta un Noleggio con Conducente ma chi mi tutela con le tariffe applicate che di certo, per 3 km e chiamata, non saranno così economiche?

Anche Uber è stato consigliato a gran voce ma, nella mia notte di ordinaria follia, trascorsa per strada trascinando una valigia, ho anche provato a scaricare l’App che non mi dava però macchine disponibili a Bergamo.

Quindi chiedo a voi, a chi ora dovrei rivolgermi per ottenere delle scuse per tutto quello che mi è accaduto o per fortuna, non accaduto?

Parlare bene non è comunicare efficacemente

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Molte persone mi chiedono se io abbia mai seguito corsi di public speaking.
No, mai.
Semplicemente perché parto del presupposto che, anche se imposti bene il tono della voce, la postura e sai gesticolare come i migliori santoni americani ma poi non sai di cosa parli, non servirà ad un fico secco.
Ho visto gente leggere le slides, non incespicare mai, snocciolare a memoria concetti e dati ma poi, lasciato il podio, non ricordarmi minimamente cosa avessero detto.
Mi è capitato a Berlino durante un seminario internazionale: mi si para davanti questo bellimbusto tirato, messo a tre quarti con voce da baritono e gesti studiati a tavolino

per combaciare perfettamente testo e corpo.
Ho passato un’ora a guardarlo ma non ad ascoltarlo.
Sapeva imbonire le folle ma non le colpiva.
Ciò che ti spiegava perfettamente comunque non ti arrivava.
L’unica cosa a cui continuavo a pensare era “ma chi ti ha ridotto così.”
Ed è la stessa sensazione che ho quando guardo i video di un altro famoso coach: voce perfetta, mimica facciale straordinaria ma niente, non mi rimangono impressi i suoi concetti.

È troppo impegnato a essere persuasivo, a rivedersi perfetto nei suoi video, ad applicare tutte quelle strambe teorie del convincimento che a me, non ci sono santi, danno un’idea alquanto pessimista e denigrante del cliente , come se fosse o fossimo tutti dei deficienti pronti ad arraffare i prodotti posti solo sullo scaffale di mezzo.

Quindi ho capito che per me, quel costruito, non avrebbe mai giovato.

Quando entri da quella porta e scorgi centinaia di persone pronte ad ascoltarti, devi solo pensare a quanto ami il tuo lavoro e a quanto desideri che quelle persone capiscano che sei lì per un preciso motivo: sei brava e non avrai problemi a dimostrarlo.

Tutto il resto lascialo fuori, la perfezione non dev’essere un tuo problema, l’essere bravi non comporta il non sbagliare mai ma il saper rimediare in molte situazioni.
Io ad esempio, sono inciampata salendo sul palco, ho staccato i fili del monitor con un piede, ho detto genitale al posto di gentile, ho chiesto sgabelli più alti perché l’alfiere pareva posizionato per Vatussi e tanti, tanti altri episodi che davanti a 300/400 persone, forse non avrei dovuto permettermi.
Ma son sempre scesa da quel palco circondata da persone che mi facevano domande e quando ti fanno domande, hanno capito.
Ho visto professori parlare per ore con platea dormiente, ammaliati solo dal sentire la loro voce, dal potere che avevano su quello scranno, completamente slegati dalla loro audience e io di certo, non finirò così.
Ho scelto di non fare la professoressa perché sapevo che l’insegnamento era uno dei mestieri più difficili, ora amo formare col cuore, amo quando mi vengono incontro e mi dicono “non credevo fosse così, lei mi ha aperto un mondo, voglio documentarmi di più”.
Torno a casa e mi dico “ il mio obiettivo l’ho raggiunto, le foto fanno schifo, potevo evitare quel pantalone e la ripetizione di quella parola ma tutto sommato, loro hanno imparato qualcosa di nuovo”.

Loro sono il mio successo, non io.

E prima di salire, sia pur per una breve presentazione davanti a pochi o un’analisi più approfondita di ore in un centro congressi, mi preparo, studio, ripasso, non do mai per scontato di sapere ciò che dirò.
Per ciò non vi dico di non fare corsi ma in primis di meritarvi quel posto da relatore.
Non andateci per caso su quel palco, perché siete i “padroni”, perché siete sponsor o solo per voglia di emergere perché fidatevi, quelli giù se ne accorgono.
Piuttosto pagate uno per farlo: ne gioverà la vostra azienda e la vostra immagine.
E capiterà sempre un imprevisto e non sarete pettinate perfettamente e l’inquadratura del fotografo non avrà pietà per le vostre rughe e il microfono o il video si bloccheranno proprio sul più bello, ma fatevi una risata con loro e andate avanti.
Gli imprevisti si dimenticano in fretta, la non padronanza del proprio argomento no, mai, perché non c’è cosa peggiore che far perdere una giornata intera a dei professionisti senza insegnar loro nulla.

 

Il cliente fedifrago nel B2B

Vi spiego come io affronto e formo i venditori quando incappano nel “cliente fedifrago”.
Mi piace sempre spiegare un problema lavorativo con un parallelismo della vita quotidiana: viene assimilato meglio e il cervello ha la possibilità di fare dei cross thinking anche quando si beve un semplice caffè al bar.
Mica è facile eh ma funziona, credetemi.
Allora, dicevo, quanti di voi che lavorano nelle vendite cicliche B2B, si trovano a dover gestire un tradimento lavorativo?
Il cliente comincia a diradare gli ordini accusando crisi economiche tremende e mancanza di richiesta improvvisa, glissa sui vari appuntamenti e magari si nega al telefono quando lo chiamate, inventandosi improvvisi impegni e promettendo di richiamarvi appena possibile, dimenticandosi poi sistematicamente di farlo.
Ecco, benvenuti nel mondo della “moglie tradita”.
Ora, avete due scelte, proprio come una moglie ha quando le nascono i primi dubbi: indagare, pedinare, ossessionare il coniuge fino alla sfinimento o far finta di nulla.
Vi dice che va a calcetto il mercoledì sera?
Bene.
Quando torna, controllate che la maglietta sia sudata o buttate tutto in lavatrice con nonchalance?
Ecco, con i clienti io prediligo la seconda opzione: lavo tutto e sorrido.
Perché non serve a nulla smascherarlo, non serve a nulla far vedere che voi siate troppo scaltri per farvi fregare così facilmente.
E smettetela anche con ‘sta storia “ma perché non me lo dice chiaramente che compra da un altro?”
Santi numi, mai visto un uomo ammettere alla moglie di frequentare altre donne?
“Sai cara, ti dico che vado ad una cena di lavoro ma in verità m’incontro in un parcheggio con una conosciuta su Facebook , buona serata anche a te!”.
Il primo che mi scrive io l’ho fatto, lo segnalo alla Neuro, giuro.

E in fondo, il vostro cliente non è un uomo come tutti gli altri?

In più, se il cliente pensasse di “avervi fregato”, vi continuerà a chiamare tranquillamente perché a lui piace tenere il piede in due scarpe, almeno all’inizio ed è solo così, con infinita pazienza e ammirevole devozione, che potrete sempre avere un minimo di situazione in mano, dimostrare col paragone in essere, di poter dar di più, di essere più preparati e persino di lanciare qualche amo promozionale che ripeschi nel rush finale il figliol prodigo smarrito lungo il percorso di casa.
Invece mi tocca sentire alcuni venditori replicare ai clienti cose orribili, tipo “eh se non mi compri più come prima, devo diminuirti lo sconto” oppure “ ah ora mi chiami? Perché l’altro non ha il prodotto?”
Malissimo!!
L’orgoglio usatelo nello spogliatoio della palestra quando avete un righello in mano, qui siate mogli devote cribbio, quindi: prendete felici il mazzo di fiori che vi arriva casualmente e senza farvi troppe domande, accettate il tempo dedicatovi nei suoi ritagli di tempo senza alcun broncio, preparategli la cena anche se arriva con due ore di ritardo, stirategli le camicie senza badare troppo alle macchie di rossetto; insomma dategli il meglio quando lui vi dà il peggio.
Solo così, semmai ci fosse una possibilità, semmai ne valeste la pena, il cliente capirà che cambiando fornitore, perderà voi.
E non esiste prezzo stracciato che valga quanto una “moglie venditore” devota e un caldo nido aziendale dove rifugiarsi nei periodi peggiori.
Fatelo divertire con le varie ventenni in giro ma fategli capire l’importanza del customer care prolungato.

Altrimenti, sbattetelo fuori di “casa”, tronfi d’orgoglio al pari del commissario Poirot Enasarco, tornate nel vostro ufficio con il vostro modulo ordini vuoto e iniziate a chattare sui social e a scrivere cazzate tipo “meglio soli piuttosto che con gente che non ti merita” e informatevi sul gattile più vicino.
Contenti voi, contenti noi di avervi tra i concorrenti.

 

Ode a Vasco Rossi (scritto post concerto)

Io a Vasco devo tre quarti della mia vita emotiva.
Dall’essermi svegliata una mattina Silvia ad essermi ritrovata in un attimo Sally.
Dall’essere diventata rossa se qualcuno mi guardava, all’essere certa che in fondo vivere è non essere mai contento.
Da quando mi fu passato il primo asciugamano, quello bianco lì sul divano al chissà quante volte hai riso tu di me.
Dal sai cosa vuol dire ciao al dimmi che non vuoi morire, che comunque è sempre sua.
Non esiste un anno della mia vita che non possa essere descritto da una canzone di Vasco, una sola che non possa togliermi le parole di bocca.
Pareva che Vasco fosse sempre lì accanto a me, pronto a buttare su un pezzo di carta e a musicare la mia vita, i miei dolori e le mie prese di coscienza.
Lui cantava ed io confermavo, tutto, sempre.
Poi gli anni passano ed i ricordi svaniscono e le abitudini cambiano ma bastava un passaggio veloce in radio affinché io mi ritrovassi ancora sola dentro una stanza e tutto il mondo fuori.
Capisco poco le vostre polemiche, perché non posso credere che quelli della mia generazione non abbiano mai sentito Vasco come un narratore delle nostre vite, come la ballerina che danzava nel portagioie, il mercurio cromo sulle ginocchia sbucciate, i ciucci appesi allo zaino, la Smemo piena zeppa di foto dei Take That, i biglietti strappati dei concerti, la foto tessera del fidanzato nel borsellino e le polaroid sfocate dell’ultimo dell’anno nel capannone gelido.

Ecco, Vasco è tutto questo ma in una sola persona, in un’unica e gigantesca raccolta di canzoni, una sorta di appunti biografici messi in musica.
Forse per alcuni è un’icona che esorta al vivere in modo spericolato ma per me Vasco è il miglior amico che c’è sempre stato, che sa cosa ho passato e quanto ho lottato.

Ed ora che di candeline sulla torta ne ho ben 25 più di Gabry, mi ritrovo a rappresentare una donna che può benissimo essere un misto di una Jenny più moderata, una Sally meno afflitta e una Giulia che si prende ancora la vita che vuole, che quando guarda fuori dalla finestra, la sera, nel silenzio del sonno altrui, le viene naturale intonare “e la vita continua anche senza di noi che siamo lontani oramai”
E anche se per voi tutto ciò che ho scritto non ha un senso, non vi preoccupate perché tanto, domani, arriverà lo stesso.

Vasco per me è stato, è e sarà sempre Vasco Rossi, imparagonabile, la mia ballerina col tutù rosa che gira ancora elegante sulle note del lago dei cigni, il mio walkman con le batterie scariche e la strofa rallentata di “ma come non lo vedi sei te”, il mio primo bacio, l’amore ricambiato, sperato, sognato, finito e l’inaspettato, potente e bellissimo nuovo inizio.
Eh già, sembrava la fine del mondo ma sono ancora qua.

Host Management da 110 e lode 

Quando la carriera accademica si schianta contro la realtà.

L’altro giorno noto che mi sono localizzata in 313 luoghi differenti negli ultimi anni.

A questi luoghi, più o meno, corrispondono soggiorni in hotel.

Ho ormai accumulato tanti di quei punti in tripadvisor che potrei essere tranquillamente nominata loro Ceo ad honorem.

Comunque, non lascio quasi mai recensioni agli hotel, un po’ per pigrizia un po’ perché si sa, le recensioni scritte sono quasi sempre negative.

Se ti trovi bene, trovi un hotel ben gestito ed un buon rapporto prezzo/qualità al massimo lasci un punteggio senza commenti.

E così ho fatto una settimana fa con un hotel a Foiano della Chiana in cui ho soggiornato a fine settembre.
Ho lasciato blank nei commenti e ho attribuito buono con una media del 7.5.

Ricordatevi questo score.

Tranquilla, dopo aver cliccato invia, sono tornata alla mia vita normale.

Stamattina alle 8 mi arriva un’email dalla direzione di quell’hotel.

Faccio una premessa: in quell’hotel sono arrivata alle 10 di sera dopo aver fatto velocemente la prenotazione col cellulare 20 minuti prima in funzione “localizza l’hotel più vicino”.

È un terno al lotto lo so, ma avevo tutto scarico, era tardi e mi stavo perdendo nelle campagne toscane, incantevoli per carità, ma teatro di episodi poco piacevoli fino a qualche decennio fa.

Quando stai messa così, anche una branda alla Caritas andrebbe bene.

Tempo 5 minuti dal pagamento, mi chiama una ragazza dell’hotel.

Soliti convenevoli del caso, mi avvisa che la reception chiuderà alle 22.00.

Va bene, affretterò il passo.

Mi avvisa pure che l’hotel si trova in pieno centro storico, sotto il campanile di quel paesino sperduto di 1000 anime.

Va bene, mi piglierò una multa.

Aggiunge anche di parcheggiare accanto alla porta di entrata della Chiesa che tanto la Messa si celebrerà solo alle 10 del mattino successivo.

Va bene, però c’era scritto che era dotato di parcheggio.
Il tempo di concludere la telefonata di avvisi e arrivo davanti al campanile, arrampicandomi su stradine larghe quanto un girello e schivando anziani toscani dalla bestemmia facile.

Bel posto medioevale, un cameo antico nello scenario moderno, nulla da dire se vuoi scappare dallo smog e della civiltà.

Certo, non il massimo per me che viaggio per lavoro e prediligo hotel con reception h24, parcheggio comodo e rapidità di collegamento con le principali autostrade.

Infatti appena entro mi viene spiegato che si tratta di un hotel ricavato da un vecchio convento.

Camere a tema, storie importanti dietro ad ogni camera e gestione famigliare da decenni.

Tutto molto interessante e spiegato per filo e per segno da questa ragazza, se non fosse che sono stanca morta e a lei, a quanto pare, interessa poco.

È una ragazza ‘strana’, lo capisco subito.

Molto preparata, troppo azzarderei.

Ci tiene a creare un rapporto con me mentre io ci terrei molto a dormire.

Non contenta dei suoi 15 minuti di pappardella, mi accompagna in camera e mi spiega il tema che mi ha riservato: un famoso compositore lirico che pare abbia soggiornato proprio in quella matrimoniale.

Al primo accenno di vita del compositore, le chiudo la porta in faccia.

Capisco tutto, ma la zelante alle 11 di sera dopo 700 km no, il Big Ben ha detto stop.

Mi affretto ad infilarmi a letto, sormontata da un quadro gigante del compositore con sotto un lumino che rendeva il tutto un po’ inquietante, quando mi scappa l’occhio sulla scrivania.

È un papiro di 5 pagine che spiega come questa ragazza che si sta per laureare in Host Management ( accoglienza ospiti) vorrebbe che IO compilassi, all’incirca 70 “veloci” domande per aiutarla nella sua tesi.

Preferisco di gran lunga che l’anima del compositore mi tiri i piedi di notte e mi faccia lievitare per tutte le colline toscane piuttosto che passare insonne la notte a rispondere “velocemente”.

Ve lo dicevo che era strana, invece era solo indottrinata.

La mattina scendo a fare colazione e me la ritrovo sempre lì: pronta a spiegarmi gli ingredienti del croissant e la vista che si può godere addentando un pane nero croccante fatto solo con ingredienti a km zero.

Fantastico davvero, ma mollami.

Sei brava, mi ha commosso, sarai l’orgoglio di mamma e papà ma ora stai 10 minuti zitta!

Mangio pizze surgelate e addensanti come se fossero Galatine e la vista mi fa pensare a 20 minuti persi prima di arrivare in A1.

Non glielo avessi detto che mi trovavo di passaggio per lavoro, non mi fossi dichiarata totalmente atea e non mi fossi presentata sola alle 10 di sera dicendo “voglio solo dormire” ci potrebbe stare.

Ma io ho le mie amiche, non me ne servono altre.

Ho le mie idee in merito a posti incantati e piacevoli soggiorni.

Saluto il compositore e la Manager dell’accudimento clienti e riparto.

Dimenticata l’esperienza, mi arriva la Sua email.

C’è rimasta male perché ho dato un voto sufficiente.

Non la manda giù che non le ho dato Il 110 con lode.

Mi ha addirittura scritto questo:
Buongiorno, grazie per aver scelto il nostro Hotel.

Abbiamo ricevuto il punteggio che lei gentilmente ci ha valutato. Al fine di capire le nostre possibili mancanze, le chiedo cortesemente di poter spiegare il perché di un punteggio sufficiente da noi difficilmente ricevuto. Le è stata data una matrimoniale che forse non e stata di suo gradimento e ci dispiace molto pensavamo di farle cosa gradita. L’Hotel come già spiegato è un vecchio convento del 1.400 e le camere erano le antiche celle dei frati, quindi riadattate nei limiti del possibile, visto che essendoci le belle arti non si potevano far diventare tutte delle suite.

Le auguro comunque una buona giornata Spero di riaverla come opsite ( vedi che la veemenza ti frega? N.d.a.) presso di noi da poter cosi rimediare. Cordiali Saluti La direzione.
Ma te non stai bene eh….

Sei una stalker, non una guest manager.

Ti ho dato 7,5, ma dimmi te se mi devi cazziare!!

E secondo te, io ci torno pure?

Così oltre alla pappardella che a te piace ripetere e al questionario velocissimo che a te serve, la prossima volta mi tieni in piedi alla reception un’ora per farmi la ramanzina di persona?

Piuttosto la branda alla Caritas con accanto il vasino per la notte.
Che io povera donnina di periferia, abituata ai vecchi atenei dove ti veniva insegnato che la comunicazione fosse sì basilare ma mai da diventare ossessione, dove fior fiore di docenti ti invitavano più ad ascoltare gli altri che te stessa, dove la favella era importante ma l’occhio e l’elaborazione delle reazioni fisiche del ricevente alle tue parole dovevano prevaricare sul corrotto pensiero di ciò che per te fosse il meglio e tante altre bazzecole che paiono non interessare più a nessuno insegnare, rimango esterefatta da come una che dovrebbe diventare il meglio sul mercato per noi ospiti, non allaccia manco la scarpa destra ad un vecchio gestore di hotel romagnolo.
Smettetela di studiare come automi che prima forse avevamo troppi ignoranti ma almeno erano simpatici!

Ora parete degli sbruffoni, dei signori so tutto io quando in realtà, non sapete un millesimo di come si faccia questo o altri lavori, perché noto che la generazione di neolaureati abbia un velato piglio dell’essere ormai arrivati, come se fossimo noi a dover imparare da loro e magari solo perché loro hanno fatto il Master col nome inglese pagato coi soldi del papà muratore.

Quindi, di logica, senza il muratore che si spacca la schiena e sgancia il grano, tu saresti il signor nessuno, ti sia chiaro eh.
Tornate a fare le stagioni in Riviera, tornate a lavorare gratis da chi quel lavoro l’ha imparato davvero, sfamando famiglie per anni e soprattutto, non imparate a gestire un cliente in una fredda aula accademica senza aver mai fatto nemmeno una bancarella dei vostri giochi usati sulla strada di casa.

L’errore più bello che abbia mai fatto: scrivere quel post su Linkedin

Or dunque ragazzi, Eureka, ci siamo arrivati, mettetevi seduti e leggete con attenzione.

Non vi tedierò con la mia presentazione perché non dovete assolutamente perdere neppure un secondo soffermandovi su di me, questa cosa che è venuta fuori è realmente FENOMENALE.

Uso l’aggettivo fenomenale perché qui per me siamo davvero davanti ad una svolta, restiamo uniti che riusciamo ad uscire dal tunnel del profilo utente ingessato.

Piccola prefazione prima di leggere l’analisi…

Ho assistito per mesi a profili tirati a lustro e patinati, fatto zapping tra master, corsi, specializzazioni, dodici lingue parlate con naturalezza, cravatte regimental allacciate strette e pose talmente stucchevoli da fare sentire me come la sguattera della peggiore bettola di periferia.

Ad un certo punto, tra un link di alta Finanza condiviso e snocciolato come fosse il derby Milan- Inter con gli equilibri persi di Bonucci e un sermone su come investire i tuoi soldi in Ciad con un piccolo capitale di partenza di soli 100 mila euro, pensa te che fortuna oh, vi voglio confessare che la voglia di togliermi da Linkedin mi è venuta.

Poi boh, un amico la chiama Serendipity, quella cosa che fai e per caso si trasforma in altro, in qualcosa di veramente bello e una mattina, mi è venuto quel post, un po’ magari pungente ma realmente basata su ciò a cui stavo assistendo da mesi.

E booom, scoppia un putiferio: pare che ad alcuni io abbia ucciso il coniglietto nano e ad altri aperto un mondo.

Smetto di perdere tempo e passo all’analisi, metto i dati sotto forma di percentuale ma per darvi un’idea, tra bacheca e messaggi siamo ad un valore compreso del +100 al -500 di testimonianze raccolte.

 

ANALISI DEI CAMPIONI ESTRATTI

Il 78% sono dipendenti, lo sono stati, sono in cerca di lavoro da dipendenti.

Il 22% sono imprenditori o lo sono stati.

Il 20% delle due categorie è composto da donne.

L’età di chi ha deciso di raccontarsi, è così suddivisa:

30% inferiore o uguale ai 30 anni

60% tra i 40 e i 50 anni

10% sopra i 50 anni.

ERRORI DEI DIPENDENTI

Qui emerge una cosa alquanto ovvia: le testimonianze dei peccati più veniali le trovate in bacheca, quelle più “scabrose” vengono riportate privatamente.

Credo fosse la conclusione più logica quella del pvt, ma grazie al fatto che io abbia lasciato il libero arbitrio, ho permesso alla persona di non sentirsi influenzata tra la scelta di una o l’altra.

4° POSIZIONE: 11% PENSAVO DI MERITARE DI PIU’, ORA GUADAGNO LA META’

In questo gruppo potrei mettere due diverse figure professionali:

il neolaureato e l’over 50.

Cosa può accomunare due così lontane fasce generazionali?

Il credere fermamente che si dovesse guadagnare tanto o in fretta.

Il neolaureato ammette che dopo la Laurea si aspettasse di guadagnare subito cifre da manager, che la sua competenza ovviamente avrebbe dovuto essere ripagata subito e bene e per far questo, ha preferito abbandonare stage presso multinazionali male retribuiti o solo rimborsati nelle spese per accedere a realtà aziendali concrete ma più modeste che invece lo hanno usato per il tempo necessario tra fotocopie e incartamenti vari, dulcis in fundo, lasciato a casa al primo taglio del personale.

L’over 50 guadagnava benino ma dopo aver accumulato anni di esperienza, si sentiva pronto a chiedere di più, sicuro che in altri contesti magari anche fuori dal suo specifico mercato, quella esperienza di certo sarebbe stata apprezzata e ripagata profumatamente. Anche qui, la sua aspettativa non ha combaciato con le aspettative dei suoi datori di lavoro.

“Ho 30 anni di esperienza” uno dice.

“Ho una laurea e due specializzazioni” l’altro ribatte.

“E in mezzo ci sta il mercato e le sue esigenze, i cambiamenti repentini, la scomparsa di alcune figure professionali, l’adattarsi al rimettersi sempre in discussione, il mutarsi la pelle per rispondere adeguatamente, il saper aspettare i tempi giusti” Concluderei io.

Ed ecco il paradosso che poi troverete anche in un altro caso: il 50 enne si lamenta di non trovare lavoro per non aver concluso gli studi e il neolaureato sostiene di essere troppo qualificato per trovare un lavoro.

Comunque e qualunque cosa si studi, in questo confuso periodo di transazione del mercato, si sbaglia.

Semmai vi foste sentiti in colpa per aver iniziato un percorso formativo che vi piacesse, continuate pure tranquilli, tanto qui fuori ancora nessuno ha capito bene cosa sia meglio fare.

3° POSIZIONE: 18% ARRIVO IO E SPACCO TUTTO/ MI LASCIANO A CASA PERCHE’ NON SONO UN LECCAPIEDI

Questa per me è la più veritiera e quella che meglio spiega chi non si senta minimamente tirato in ballo quando si parla di errori sul lavoro.

Passo ad illustrarvela.

Con diverse sfaccettature, con dettagli o ambientazioni diverse, il succo del discorso era sempre quello: mi assumono, sono brillante e appassionato, vedo che le cose potrebbero andare meglio, vedo che molti non si impegnano abbastanza, faccio presente la cosa e quando c’è da licenziare, licenziano me.

Fa ridere un po’ lo so ma è tremendamente vero, moltissime persone sentono come una forza aliena che attraverso le capsule dei premolari gli invia dei messaggi e vengono incitate a non ascoltare gli altri, a voler proporre metodi diversi, a decidere che oltre alle loro funzioni, potrebbero fare di più e perché ridursi a svolgere solo i compiti affidati quando quell’azienda ha avuto la fortuna di assumere proprio te che puoi cambiare tutto e ti sprecano a quel modo?

Torno seria.

Il fatto non è che tu possa o meno cambiare le cose, che tu sia davvero il migliore in quell’ufficio, il problema è che tu pretendi di saperne più di tutti, magari di persone che lavorano dal doppio dei tuoi anni, magari dei tuoi superiori che appunto, vorrebbero continuare ad essere i tuoi superiori e che hanno assunto te, per dei compiti precisi, non per tentare in tutti i modi di far passare loro da ebeti e tu da supereroe.

Per non parlare poi dell’ambiente lavorativo che generi coi colleghi: sai quanto possa essere bello lavorare con uno pronto ad emergere facendo passare te come lassista o fannullone?

E se ti sbagliassi? Mai presa in considerazione questa ipotesi?

Tanti che mi hanno scritto sì, purtroppo dopo essere stati licenziati, si erano convinti che il loro intuito fosse meglio del metodo.

Chi perché ha avuto ciò che voleva e si era nettamente sbagliato, creando danni all’interno di quell’azienda e chi invece è stato lasciato a casa per troppo zelo, perché dopo un po’ di uno che passa metà del tempo a bussare alla porta della direzione anziché fare ciò per cui è pagato, stanca, ve lo assicuro.

Ora, che alcuni chiamino “leccapiedi” quelli che svolgano la loro funzione in santa pace senza screditare colleghi o dire al proprio capo come fare il suo lavoro, lo lascio decidere a voi.

2° POSIZIONE: 24% NON AVER RISCHIATO IL POSTO, AVER LASCIATO IL POSTO

Eh già, molti hanno rifiutato offerte allettanti da altre aziende e al tempo, hanno preferito la certezza e la solidità di dove erano, per paura, per impegni familiari presi, per non dover rinunciare ad una tranquillità che al tempo pareva garantita, praticamente il contrario di quelli precedenti.

Ed ecco qui rispuntare un altro paradosso, incredibile davvero! Uno mi scrive “avrei voluto cogliere quella opportunità e rischiare” e subito sotto mi arriva un altro messaggio che recita più o meno così “ mannaggia a me quando ho deciso di voler rischiare provando nuove esperienze” .

Mi verrebbe da usare un meme che circola in Facebook, ovviamente modificato per l’ambito professionale, del tipo “se ci mettiamo d’accordo, lavoriamo tutti”.

 

1° POSIZIONE: 38% AND THE OSCAR GOES TO

FIDUCIA RIPOSTA MALE

Svetta su tutti gli altri errori, le persone sentono di essere state tradite e per quello si trovano ora in una condizione indesiderata.

In alcuni casi viene descritto come un errore “velato” ossia, ho sbagliato ma è anche vero che qualcuno mi ha fregato, in altri viene aggredito come se ora l’antidoto fosse il non fidarsi più di nessuno.

Mi ha ricordato molto quel cartello simpatico appeso in alcuni bar “per colpa di qualcuno, non si fa più credito a nessuno” che a me fa sorridere ma un po’ mi intristisce perché se devi lavorare e lì ci devi stare per anni, forse dovresti anche saper valutare qualche volta e non irrigidirti così o sperare che quello sia un ottimo alibi per svangare il dubbio tra il concederlo o meno.

Cioè, perdonati qualche volta, non sei perfetto ma puoi riprovarci.

C’è chi è stato fregato dai colleghi, chi dal capo, chi da chimere fatte di ottimi stipendi da aziende traballanti per ritrovarsi poco dopo licenziato col rimpianto di aver lasciato un lavoro meno luccicante.

Ni, io personalmente non lo considero un errore, lo vedo più come un voler credere a cose che ci farebbero tanto piacere se fossero vere, d’altronde Wanna Marchi s’incazzava se il sale non si scioglieva e la gente si preoccupava, dico no, c’è anche di peggio in giro.

Questo spero che rincuori tantissime persone che magari da anni rimpiangono o sentono il rimorso per una o l’altra scelta: comunque fai sbagli, la chiaroveggenza non è patrimonio di nessuno (forse Wanna Marchi), prendete una decisione e portatela avanti. Ho esattamente un ex equo tra chi ha fallito tentando e chi ha fallito restando, quindi, cuore in pace ragazzi che non c’è soluzione se non tanta fortuna nella vita quando si compiono passi importanti.

9% VARIE ED EVENTUALI

Una parte minore si appella a settori ormai in crisi da tempo, tipo l’edilizia, il terziario o l’intrattenimento, che ovviamente hanno subito una forte crisi, che voglio dire, puoi pure essere un bravo venditore, ma se il 50% del mercato sparisce, tu che ci potrai mai fare?

 

ERRORI DEGLI IMPRENDITORI

Come da tabella riassuntiva, solo il 22% delle testimonianze raccolte perviene da aziende.

O sono fenomeni, o non interessava partecipare all’analisi o sbagliano molto di meno dei dipendenti (credono, forse ndr.)

Comunque, in maniera più sintetica rispetto agli errori dei dipendenti, diciamo che i pentiti della partita Iva mettono come motivo principale della loro disfatta l’aver creduto che fare impresa fosse una cosa facile.

Molti dichiarano di aver solo valutato il bello e non esser stati pronti al brutto.

“Pensavo di vendere e di affrontare i problemi, non avevo minimamente creduto possibile che non avrei venduto e avrei pure avuto i problemi”

I conti, quelli sono stati citati più di 13 volte nei messaggi.

Un altro tasto dolente, un Ni per me come errore quanto la fiducia mal riposta dei dipendenti, se lo guadagna la delusione dei dipendenti.

Perché dico Ni? Perché nel farli parlare, è emersa evidente la convinzione che per loro i dipendenti dovessero appassionarsi, lavorare e soffrire quanto loro stessi, che insomma, parliamoci chiaro, vuoi delle attitudini da capo ma poi solo tu guadagnare di più.

Vorresti che in periodi di crisi non pretendano neppure loro di essere pagati o che s’inventino qualcosa d’altro per tirare a campare fino a che tu non avrai risollevato le sorti della tua azienda.

Ok l’empatia e l’amore per il proprio lavoro ma distinguiamo bene i ruoli e gli obblighi, altrimenti le delusioni per entrambi sono dietro l’angolo.

Altri non solo si sono buttati a capofitto in start up futuristiche ma ci hanno buttato dentro pure tutti i loro soldi e qui il risentimento più grande lo si trova maggiormente a livello personale più che economico, si sentono come di non fidarsi più del proprio istinto, diciamo che hanno espresso la cosa come veri e propri “cazzari”.
Io credo che investire e credere in un progetto con tutto te stesso abbia la necessità anche di una buona dose di fortuna, tipo a Black Jack: tu hai 20 in mano che potrebbe essere pure tanto ma se il banco fa 21, perdi esattamente come quello che si è fermato a 15 o quello che ha sballato chiedendo carta con 16.

Altrimenti se fosse facile o possibile da anticipare, saremmo tutti mega milionari come Briatore o chiaroveggenti come Wanna Marchi, forse.

Una piccola parte è molto arrabbiata con le istituzioni, con le varie riforme fiscali e i sindacati; sentono che se esiste una categoria colpita, quella è la loro.

Ma tutto sommato devo dire che l’imprenditore che mi ha riportato la sua testimonianza è stato umile e molto autocritico, diciamo che non ho visto burberi capi o dispotici “paron dalle braghe bianche”.

 

 

Bene, con questo ho concluso la mia analisi, se vi interessa proseguire la lettura, troverete i “bonus track” di questa fantastica avventura, altrimenti se concludete qui, voglio ringraziare di cuore tutti quelli che hanno anche solo con un commento, apportato un plus valore a questa analisi ma soprattutto voglio ringraziare quelli che mi hanno sviscerato le loro storie, con naturalezza, con umiltà e tanta ma tanta voglia di riprovarci nel migliore dei modi.

In ordine sparso:

  • Salvatore
  • Mario
  • Leonardo
  • Andrea M.
  • Andrea S.
  • Fabio
  • Remo
  • Chiara
  • Alessandro S.
  • Simona P.
  • Stefano
  • Gabriele
  • Sandro
  • Alessandro C.
  • Marco V.
  • Marco M.
  • Davide P.
  • Cinzia
  • Francesco G.
  • Simone
  • Alberto
  • Silvia
  • Sara
  • Maurizio V.
  • Andrea P.

Grazie, grazie, grazie!

Per le notti insonni che avete passato con me, per gli approfondimenti e soprattutto per la fiducia riposta, chissà mai che qualcuno grazie a voi possa da oggi in poi sentirsi meno isolato e un po’ meno cazzaro!

 

 

BONUS TRACK

“I RECRUITERS PUNISCONO CHIUNQUE AMMETTA DI AVER COMMESSO ERRORI”

Se scorrete la bacheca, sotto al post generatore di tutto questo casino, troverete varie testimonianze in cui alcune persone dichiarano che l’ammissione di errori, squalificherebbe un candidato in fase di selezione.

Ora, come ho risposto ad un ragazzo, per quanto mi riguardava, mi pareva assurda quella sua convinzione: ho sostenuto molti colloqui in vita mia, con vari tipi di selezionatori e mai sono uscita da quell’ ufficio con la sensazione addosso di non essere stata scelta per aver raccontato la mia esperienza lavorativa che per l’appunto, è fatta anche di errori.

Quindi mi sono incensata il capo e ho chiesto un parere ad un grande esperto in materia di selezione del personale, uno che mica pizza e fichi come la sottoscritta, uno che quando parla, sa far star zitti tutti.

Come vi raccontavo, con la faccia del peggior commerciale di Caracas, ho inviato un messaggio a Osvaldo Danzi, che di certo non ha bisogno di presentazioni e col quale, in passato, ho avuto uno scambio di opinioni ricche di belle sfumature e grande professionalità.

 

Ecco il testo

Mio messaggio

EM :Psss, psss, Osvaldo….ho fatto un casino!

EM: Mi daresti una mano?

Passerò il week end a stilare una sfilza di dati, più o meno dettagliati, su un tot di testimonianze ricevute e credimi, veramente interessante. Comunque, da una breve cernita, emerge che siate voi Hr che li obbligate a lustrarsi e ad apparire perfetti perché altrimenti, li scartate a priori. Questo affermato da tanti eh, come se foste voi a non volere “perdenti” tra le fila dei candidati. Ora, mi dici se sia una loro percezione o vi sia davvero un fondo di verità? Perché io non posso credere che un candidato debba dire di essersi licenziato perché se dicesse o scrivesse sul cv l’opposto, tu non lo chiameresti mai! Grazie mille in anticipo

 

 

 

Sua risposta:

A mio parere i candidati hanno una percezione totalmente diversa di ciò che ci si aspetta un colloquio. Si chiama indice di desiderabilità e lo si trova in qualsiasi inventario di personalità. Almeno un candidato su tre ha un indice di desiderabilità molto alto vuol dire che ha risposto al test pensando a come l’intervistatore avrebbe voluto che lui rispondesse.

Ti faccio un altro esempio,è la mia ultima selezione: un candidato ha omesso di farmi sapere proprio per questa percezione, di avere un problema legale che a mio avviso non avrebbe inciso assolutamente sulla selezione. Il fatto di averlo nascosto ha fatto sì che venisse escluso dalla selezione proprio dal titolare dell’azienda che aveva già preparato la lettera di intenti.

Il fatto che molte persone abbiano aderito alla tua iniziativa non mi sorprende per niente. Lo si vede già qui su Linkedin. Le persone per così dire vincenti se ne guardano bene dal fare commenti e insultare le risorse umane o dare la colpa ad altri dei loro insuccessi.

 

 

Ovviamente ho chiesto ad Osvaldo il permesso di pubblicarlo.

Vi ho sottolineato la parte interessante, cioè, ragazzi, incredibile, sanno benissimo che voi stiate rispondendo come loro vorrebbero che voi rispondeste, o meglio, come voi crediate che loro vorrebbero sentirsi rispondere da voi (una medaglia se ho beccato tutti i tempi corretti, grazie!)

Quindi, quanta verità c’è nel dire che si è scartati per gli errori tra la vostra percezione e la realtà?

Vi faccio un esempio che mi sono creata e che mi ha convinto.

Se ho un ristorante e vedo che il mio concorrente toglie l’olio di palma dal suo menù, penso voglia diversificare la clientela ed io lo continuo ad utilizzare.

Se però 10 concorrenti tolgono l’olio di palma dagli ingredienti che utilizzano, comincio a pensare che i clienti non gradiscano più i ristoranti che usino l’olio di palma ed inizio a riflettere.

Un giorno ho la sala vuota e mi viene in mente che ho l’olio di palma nel menù, mi prende un guizzo e lo tolgo pure io.

Eppure ho ancora la sala vuota.

Ma perché se ho tolto l’olio di palma?

Ecco, magari quel ristorante è vuoto perché non più in linea coi prezzi di mercato, perché ha un arredamento fatiscente, perché il cuoco propone sempre i soliti piatti, perché si è cambiato fornitore per le materie prime e scelto uno più economico, perché ha aperto un nuovo locale ed il nuovo incuriosisce sempre.

Ma il mio indice di desiderabilità mi ha convinto che se tutti fanno così, devo farlo pure io.

Ed ora io non ho neppure l’olio di palma ma loro magari hanno l’arredamento nuovo, indi per cui, a parità di offerta, vincono loro.

Che poi siate o meno d’accordo sul nutrirvi con l’olio di palma o meno, cambia poco, quello che dovreste capire sono i limiti del vostro ristorante in generale, non su un singolo ingrediente, l’olio di palma non vi farà assumere né scartare, è solo olio di palma, magari non fa bene se ne mangiate troppo ma non ha ucciso mai nessuno.

La seconda parte dell’intervento è molto istruttiva sul nascondere le cose in fase di colloquio, anche se quel dato non avrebbe minimamente inficiato sulla selezione, l’averlo omesso, ha distrutto il rapporto di fiducia prima ancora che cominciasse.

Diciamocelo, a nessuno piace esser preso per i fondelli, soprattutto se sto per assumerti e farti passare con me metà della mia vita.

Spero che questo chiarimento vi sia stato utile.

 

“L’ORRORE DELLE DONNE MADRI”

 

Sì lo so è un titolo forte ma permettetemi di usare toni gravi per questo capitolo.

Sono donna e non ho figli, ammetto che ho sempre pensato un po’ che le madri ci marciassero sulle gravidanze, i permessi e i vari bonus a loro concessi solo perché facessero figli, come se non fosse dal big bang che accadesse questo.

Ora ritiro tutto. Che schifo ragazzi.

Ho letto di storie dell’orrore, di donne trattate come appestate durante e dopo la gravidanza, violate, denigrate, relegate a ruoli marginali al ritorno, minacciate di licenziamento se lo avessero fatto una seconda volta, punite per aver anche solo osato pensare che si potesse desiderare un figlio e continuare a lavorare decentemente.

Io davvero, quando leggevo queste storie raccontate con dolore, non ci potevo credere.

Voi ci credereste mai ad una ragazza che passa 9 anni a dare il meglio di sé, poi decide di diventare madre e da lì, inizia il suo incubo?

Invitata a levarsi di torno il prima possibile, buttata fuori come fosse un inutile peso per quell’azienda che prima, ogni anno la premiava come miglior impiegata?

E tutto questo perché ha osato fare due figli, manco uno, pensa te che razza di delinquente oh.

“Accetta la buona uscita e libera il posto”

“No”

“Allora ti licenzi e ti assumiamo con lo stesso contratto in una consociata”

“No, è ovvio che mi licenzierete durante il periodo di prova”

“Vuoi la guerra? Va bene resta, ma sappi che avrai la vita rovinata qui dentro e niente part time o permessi”

“ E’ un mio diritto averli”

“E’ per gente come te che l’Italia va a rotoli”

 

Eh sì, è per gente come lei che l’Italia va male, che vergogna davvero.

Ci definiamo tanto evoluti e poi non permettiamo che una donna possa affermarsi sul lavoro per via di un pancione o di un bel pargoletto paffuto.

Un augurio sincero a tutte le donne che stanno vivendo la gravidanza, per quanto mi riguarda, grazie a due testimonianze che ho ricevuto, coprirò tutti i vostri turni d’ora in poi, varicella, sesta malattia e ferie a giugno perché io non voglio condividere nulla né essere complice di certa gentaglia.

 

“E L’OSCAR PER L’ERRORE PIU’ BELLO VA A….”

Se siete arrivati fino a qui probabilmente è stata la curiosità a spingervi o a sperare che quello che avessi scritto nel post, fosse solo da gran “cazzara”.

Invece vi ho lasciato la giusta suspense per godervi ciò che mi è capitato.

A metà settimana mentre mi stavo già facendo l’idea di chi potesse essere quello che mi avesse colpito maggiormente e mi stavo già muovendo per una persona, ricevo una telefonata.

Ora ragazzi, va bene prenderla seriamente, ma questo vi ha battuto tutti.

Pronto?

Sì?

Elena?

Sì, chi parla?

Ciao sono Marco, non ci conosciamo, ho letto il tuo post su Linkedin e ti ho telefonato per raccontarti a voce la mia storia, hai 5 minuti?

Io basita.

Vi giuro spiazzarmi è una delle cose più difficili da fare ma in quel momento, son rimasta col telefono appoggiato all’orecchio, gli occhi sgranati e la bocca aperta come una scema.

Marco ha letto il post grazie ad un mi piace messo da un contatto in comune, si è aperto le pagine gialle di Padova, ha chiamato la mia azienda e siccome non c’ero, si è fatto dare il mio numero.

Cioè, ma chi sei? Tom Ponzi o Jack the Ripper?

Sfumato l’imbarazzo iniziale di entrambi, devo dirvi che oltre ad essere risoluto e senza fronzoli come piace a me, mi ha trasmesso per 40 minuti tanta di quella voglia di ricominciare, di rimettersi in gioco, di imparare che la metà sarebbe bastata a convincermi.

E in effetti il tema errori è parso subito marginale presa com’ero dai progetti, dal lavoro che avrebbe voluto fare e dalle competenze che venivano fuori spontaneamente, mentre si saltava da un argomento di lavoro ad uno sport praticato nel tempo libero.

Ora voi chiamatelo fato, destino, casualità ma io proprio in questi giorni, da mesi, ho fissato un incontro con un collega che mi chiedeva se conoscessi qualcuno per una determinata funzione che voi non ci crederete neppure stavolta ma risponde bene almeno inizialmente al profilo di Marco.

Se Marco vorrà palesarsi e scrivere sotto i commenti, metterò anche il suo cv in evidenza, altrimenti mi beccherò della psicopatica da quelli che in tutta questa storia sin dall’inizio, ci hanno solo voluto vedere del marcio ma tranquilli, provengo da Facebook dove solo con un attacco di flame, la metà di loro scoppierebbe in lacrime!

Inoltre c’è una ragazza che mi interessa molto, una giovane artista, lei ancora non lo sa ma per il Dlgs 198/06 ho scelto di promuovere anche lei.

Cosa mi è piaciuto? Il coraggio di seguire i suoi sogni, di fare ciò che più le piacesse e di puntare su se stessa, così giovane e in un momento così pericoloso, io manco adesso tutto quell’ardore ce l’ho!

Quindi Sara Boffelli preparati, mi piace il tuo progetto e voglio darti fiducia: se ci credi tu, ci credo anche io.

 

 

“DISTURBO? SONO PROLISSO? LA STO STANCANDO? QUANTE BATTITURE VUOLE”

Così, a freddo senza tante storie ve lo voglio chiedere, ma ragazzi, chi vi ha conciato in questo stato?

Ho passato metà del tempo a rispondere ai messaggi di giovani neolaureati rispondendo “non disturbi, non arrechi fastidio, non sei pesante, non ti preoccupare, vai tranquillo, dammi del tu, non sei scortese”.

Miiiiiiii, se anche non avessi avuto minimamente l’idea che mi stavate disturbando, il dubbio me lo avete fatto venire voi.

Ora non fatemi passare per quella troppo easy, ma a tutto c’è un limite, anche alla cortesia livelli Master e Sifu, se sono io a chiedervi di scrivermi tutto, senza freni, senza imposizioni, senza darvi alcun limite, perché non riuscite a lasciarvi andare?

Sapete a me alcuni cosa hanno trasmesso? Ansia, tantissima ansia.

Tachicardia, irrigidimento, blocco renale, tic nervosi.

Chissà se messaggiaste con Marchionne cosa sareste in grado di provocare!

Allora, cercate di rilassarvi, di capire se il vostro interlocutore sia o meno a target per certe pompose ovazioni livello Maria Stuarda regina di Scozia e poi siate peculiari, non recitare le frasi fatte insegnate durante i corsi, non usate le solite trite e ritrite ouverture, cercate di metterci sempre del vostro.

Non dico di telefonarmi eh, ma di capire quale sia la vostra specialità, come persone intendo, di trasmettere sempre qualcosa che nessuno ha trasmesso o pochi lo hanno già fatto.

27 messaggi hanno esordito così:

Buongiorno Dott.ssa Massetti, grazie per aver accettato il mio invito.

Che qua dici va beh, mica possono mandarmi un selfie, lo capisco.

A seguire però erano quasi tutti simili, ma ci sono per caso dei siti da cui attingete le frasi?

No perché se volete, vi giro i messaggi dei vostri coetanei e credetemi, cambia la salsa, ma la pasta è sempre quella.

Ecco, se ci sono dei siti, cancellateli pure dalla cronologia Chrome, disfatevene immediatamente perché quelle frasi, le hanno già lette in troppi.

Io sarò sempre dell’idea che la spontaneità e la peculiarità di una persona sia sempre la carta vincente, altrimenti davvero, non venite fuori da quel messaggio, non rimanete impressi.

“CONCLUSIONI”

11 pagine, 4281 battute sino ad ora, col punto sono 4286.

4286 parole che non so bene neppure io perché abbia scritto ma che mi è piaciuto tantissimo fare.

E se fosse anche solo servito ad una persona per sentirsi meno avvilita, meno cazzara e meno sola, allora potrò davvero dire che quel post, tanto stupido non lo fosse.

Ora tornerò nel mio anonimato più recondito ma vi assicuro che un’esperienza del genere non potrà che essere ricordata come una delle migliori che abbia avuto.

Sono caparbia al punto di aver dormito 4 ore per notte, con occhi rossi e stanchi a leggere messaggi su ogni device possibile, a chiedere, a ricevere risposte e mandare faccine, a parlare con persone che non so nemmeno da dove mi abbiano scritto, che magari non ho neppure tra i contatti e che forse, non incontrerò mai.

Ma cosa sarebbe in fondo anche Linkedin se fosse solo cv e carta patinata?

Linkedin per me è stato il mio Serendipity, davvero bellissimo.

 

Elena Massetti

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli stalker dell’inbox: come farsi odiare dopo essere riusciti a farsi amare

Un giorno al mese mi tocca dedicarlo al temibile “ unsubscribe” o che dir si voglia “cancellazione dalla Mailing list”.

Oggi ad esempio, mi sono disiscritta da 22 newsletter tra quelli a cui avevo dato l’autorizzazione e quelli che forse se la sono presa conto terzi.

Io non se alcune aziende si rendano conto di quanto possano diventare odiose, pedanti e antipatiche con questi invii multipli, ma fidatevi, se prima amavo un marchio, dopo essermi fatalmente iscritta alla loro newsletter, non voglio più vederlo nemmeno in foto.

Ma signori belli, se una è obbligata a sottoscrivere una vostra fidelty card per poter ottenere degli sconti, poi, è pure obbligata a ricevere 10 mail a settimana? 5 email promozionali al giorno? 50 news al mese?

Ma perché?

Chi è che va in giro ad insegnare che il diventare degli stalker impulsivi ed ansiogeni faccia vendere di più?

Non credetegli, causate più danni che benefici!

Cosa ci potrà mai essere di più idiota dell’aver sprecato soldi ed energie per acquisire un cliente e poi dopo esserci riusciti, perderlo per la troppa frenesia di rivendergli qualcosa?

Una email a settimana, tanto ma accettabile, di più sei out, così perdete capra e cavoli perché poi manco quella vorrò più ricevere se mi costringi a premere Unsubscribe.

Siete ripetitivi, invadenti, ridondanti, si trasmette che continuate a impegnarvi per estorcermi un acquisto: 1 email per le promozioni della settimana, 1 per i nuovi arrivi, 1 per le promozioni fino a mezzanotte, 1 per i prodotti online ed 1 per i prodotti in store, fanno 5 diverse email in una settimana che alla fine, non porteranno a niente!

E quella che inizia col mio nome? “ Elena, ti stiamo aspettando!” Dai, ma ci credete tutti scemi?

Vi do un consiglio, sia da utente finale sia da operatore del settore:

fissate un unico invio, sempre alla solita ora e al solito giorno, con tutto il riepilogo diviso in paragrafi dove uno clicca quella a cui può essere più interessato.

Così, ad esempio, fa un sito inglese da cui a volte acquisto con piacere, ogni sabato sera so che riceverò la sua email e me la guarderò tutta con calma.

3 anni che me la manda, 3 anni che non la cancello.

Se poi volete ancora di più farvi odiare, rendete difficile il disiscriversi.

Da una newsletter non sono riuscita a farlo perché bisognava prima autenticarsi con nickname, password e captcha.

Bene, questi hanno vinto, continuerò a ricevere la loro newsletter (che tanto sposto nella indesiderata) ma di sicuro non comprerò mai più da loro.

Bella vittoria segugi del Marketing e webmaster altisonanti, magari i vostri committenti vi pagheranno pure tanto per tutti questi contatti, ma voi siete davvero la piaga di questa era multimediale, voi e la vostra testardaggine a impadronirvi dei clienti, ad analizzarli per età, sesso, area geografica, a trattarli come “cose” e ad essere certi che siate voi a condurre le fila del gioco, cribbio quanto vi state sbagliando.

Vendere o non vendere, questa è la domanda.

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Ebbene sì, signori della giuria, quella scellerata commerciale che ha osato rispondere così ad un cliente, son proprio io.

Concedetemi però una brevissima arringa ed una ancora più veloce prefazione.

Da un paio di mesi stavo intrattenendo i primi contatti commerciali con un nuovo cliente.

La mia vendita non è un one shot, è più una vendita ciclica e prima che il motore sia a pieno regime, si deve rodare un po’.

Diciamo più semplicemente che sono un diesel, non butto i prodotti addosso alle persone, credo ancora sia fondamentale creare prima un’empatia coi clienti, insomma ci dobbiamo piacere entrambi per non sprecare tempo e soldi e ritrovarsi estranei dopo 3 riba pagate.

Una delle meccaniche basilari per poter quindi ottenere le migliori prestazioni, è quella della formazione e della consulenza.

Dopo 10 anni che faccio questo mestiere, so già che dal momento che mi approccio ad un cliente che arriva da un qualsivoglia competitor, questo sarà estremamente “povero” in termini tecnici, nonostante nel mio settore risulti basilare conoscere almeno il minimo per poter poi intervenire e migliorare le prestazioni termiche di una vetrata.

Quindi, appena il cliente mi disse da chi aveva l’abitudine di rifornirsi, già mi ero appuntata in agenda 3 mesi di consulenza, il tempo minimo per tirarlo fuori da tutta la confusione e la poca preparazione che avesse ricevuto.

Tutto ciò aggratis, badate bene, perché sempre più convinta che poi, sentendosi supportati intensamente da una che sappia il fatto suo, la vendita sarà scontata.

Ora, capite che fare formazione via Wifi o via telefono, non sia facile ma, preso com’era da appuntamenti e cantieri vari e non trovando mai il tempo di ricevermi, gli lascio pure la facoltà di approfittarne in questo modo.

Voi direte, è il tuo lavoro anche questo, certo, nessuno dice nulla ma vi è sempre un limite, una soglia che secondo me, anche i clienti ad un certo punto dovrebbero non superare mai.

Passato un mesetto, la situazione sembrerebbe quagliare, nel senso che eravamo pronti ad avviare la procedura per il primo acquisto.

Invece no, sfuma per problematiche burocratiche sue che a me parevano idiote ma va beh, concediamogli il dubbio e proseguiamo.

Rispunta dopo un mese con un messaggio di WhatsApp.

“Mi serve sapere la normativa di riferimento XXX, quella YYY e l’altra JJJ”

“Urgente, grazie”

Era un lunedì, leggo il messaggio e lo lascio lì, inutile ripetervi quanto io possa odiare chiunque, cliente compreso, usi quel dannato Messenger come se fosse un diritto acquisito al pari dello Ius sanguinis.

Infastidito dalle mie due spunte blu senza risposta, incalza.

“Sarebbe urgente Elena!”

Mi cominciarono a formicolare tutte le estremità anche perché se fosse stato davvero urgente, avresti potuto chiamarmi e secondariamente, non è che io possa scrivere un messaggio con 67 estratti di normative di riferimento, non è che tu mi abbia chiesto l’aglio lo aggiungo prima o dopo il soffritto? Che una potrebbe pure rispondere velocemente anche con un vocale, no, lui voleva che gli romanzassi 6 anni di modifiche alle norme in materia di sicurezza così, tra un appuntamento e l’altro, nella pausa di un convegno e poi mentre ritiravo i panni in lavanderia, salivo le scale di casa e mi mettevo il balsamo ai capelli.

Ennesime mie due spunte blu e poi più il nulla, pensavo potesse bastare per fargli capire che No, non fosse davvero il caso.

Il martedì mattina, attacco i dati e arriva il suo terzo messaggio “o mi rispondi o vado dalla concorrenza”

Hai vinto bello, the winner is you, ora piuttosto non mi lavo i denti ma trovo il modo di risponderti.

“Caro ZZZ, forse non ti è chiara la situazione, vediamo se riesco a spiegartela meglio.

“Io non sono un Avatar di Mondo Convenienza pronta a risponderti h24 tutta sorridente e con le cuffiette in testa. Se hai bisogno di una mia consulenza o mi chiami o mi mandi un’email o meglio ancora, qualora fosse qualcosa di più complicato, mi raggiungi in ufficio e sarà mia cura fornirti tutte le informazioni del caso.

Via WhatsApp se vorrai, potrai inviarmi le foto al mare col bambino che fa i castelli di sabbia o gli auguri di Natale col video scemo, per questioni di lavoro esistono invece i canali ufficiali.”

Non mi ha più scritto, si dev’essere offeso.

Quello che però non sapeva è che i miei capi siano tre volte meno pazienti di me, nel senso che già al primo messaggino su WhatsApp lo avrebbero bloccato, al terzo sarebbero andati a prenderlo fuori di casa.

A distanza di due settimane dalla mia risposta e, probabilmente, con la concorrenza che non ha saputo dargli manco la prima di normativa,  gli è toccato tornare.

Ma attenzione, non con la coda tra le gambe o chiedendo scusa o persino facendo finta di nulla che, vabbè, facciamo di necessità virtù, mi servi e mandiamo giù il boccone amaro.

No signori, lui ha scritto alla direzione sempre con quel fare tirannico e dispotico, credendo forse che così mi avrebbe fatto ricevere un potente cazziatone.

Ora, ditemi voi, visto che sta a me la decisione finale, cosa faccio?

Gli vendo i miei prodotti o lascio che il ragazzino accusi il colpo e magari, impari a trattare con rispetto le persone la prossima volta?