“Unabomber”

Quando dico che le vite non dovrebbero essere giudicate solo dall’età cronologica che si è raggiunta, intendo dire che si possono vivere 40 anni talmente intensamente che persino un centenario risulta essere un teenager a confronto.

Aeroporto di Schiphol, venerdì sera.

Chiunque abbia tentato di lasciare l’Olanda attraverso i check in di questo aeroporto, sa benissimo quanto i controlli di sicurezza siano molto rigidi.

Certo, da una abituata a quelli di Tel Aviv, paiono forse un pic nic all’Idroscalo.

Comunque mentre sono in fila, mi premunisco di svuotare la borsa, buttare via due mandarini e persino, attenzione eh, togliermi le mollettine che avevo in testa, così, giusto per evitare che al body scanner suonassero e mi rallentassero il tanto agognato momento del Duty Free.

Pensate a quanta cura io abbia messo nell’essere il viaggiatore ideale per gli Olandesi, quella che arriva lì e sguscia velocemente via senza intoppi.

Arriva il mio turno: tolgo scarpe, sfilo cintura, svuoto le tasche dalle monetine e tutta sorridente, mi avvio al controllo.

Forse un po’ troppo sorridente per loro, perché il body scanner non suona ma vengo fermata per i controlli antidroga.

Va beh mi dico, anche in Usa la stessa cosa: i miei colleghi passano e io vengo setacciata e tamponata ovunque per scovare qualche granello di sostanza illegale.

In effetti dovrei smetterla di sorridere, almeno lì cazzo, oramai è chiaro che ai controlli ‘sta cosa puzzi molto.

Probabilmente non capiscono che i miei viaggi siano in maggior parte, viaggi di lavoro e che quindi risulti normale che io sia ben contenta di tornarmene a casa.

Va beh, la ragazza apre la mia borsa e inizia a passare il tampone, io tutta tranquilla visto che a parte le sigarette, so per certo che non troverà nulla, la guardo sempre sorridendo.

Inserisce il tampone e ovviamente il livello è zero: manco tracce di paracetamolo o di magnesia per digerire.

Sta per richiudere il tutto e congedarmi quando sente qualcosa di solido in fondo alla borsa.

La riapre ed estrae il mio portachiavi.

Chiunque mi conosca sa già cosa io abbia attaccato al mio portachiavi.

“What is it? Mi chiede la poliziotta.

“A kubotan” rispondo ingenuamente io.

“And what is it a Kubotan?” replica lei.

“It’s a self defence arm” così, mi esce senza pensarci.

Quell’ultima parola, Arm, arm, arm inizia a riecheggiare in tutto l’aeroporto.

Lei mi guarda tenendo in pugno il mio stick di metallo e seria fa “You just said arm, that’s right?”.

No ma davvero ho appena detto ad un’ufficiale di polizia che stavo cercando di portare a bordo un’arma? Io che ho appena levato dai capelli due forcine di stagno da 3 cm?

“No, wait” esclamo io, cercando di spiegarle che sì, sarebbe un’arma ma che in un certo senso, inoffensiva.

Lei senza batter ciglio e tenendo sempre in pugno il mio Kubotan, prende il vassoio delle mie cose e mi chiede di seguirla, indicandomi una stanzetta dietro le sue spalle.

La maggior parte delle donne, se non tutte, vengono fermate per cremine e profumi, io no, io devo sempre distinguermi, io vengo presa, portata in una stanza, fotografata, sequestrata del passaporto e della carta d’imbarco e lasciata in attesa un’ora.

Entrano servizi segreti, due del Mossad, tre dell’intelligence olandese e persino 4 operatori ecologici e tutti hanno lo stesso sguardo: quello attraverso il quale si osserva una che voleva compiere una strage.

Credo abbiano controllato anche se avessi pagato la rata della palestra nel giugno 1999, fatto la comunione o scioperato al Liceo per la guerra del Golfo.

I primi dieci minuti riuscivo ancora ad essere sorridente, poi ho iniziato leggermente a dimostrare un certo allarmismo.

A quanto pare la procedura che avevano in mente di attuare non era come quella volta che portai una crema antisolare di 250 ml, cioè non puoi portarla a bordo e te la buttiamo via noi.

Questi di buttare via quel maledetto bastoncino non ci pensavano minimamente, questi se lo tenevano ben stretto in mano, passandoselo ripetutamente e cercando di capire se si potesse aprire, se si potesse estendere e perché no, se si potesse far esplodere.

Mentre io continuavo ossessionatamente a ripetergli “it’s simply a metal stick”.

Siccome mi piace fare la figa, la carta d’imbarco era elettronica, così mi hanno sequestrato anche il cellulare che, pensate la follia, mi sarebbe invece piaciuto avere per poter googlare “pene per trasporto di armi a bordo Olanda”, così, per passare un po’ il tempo e capire meglio se l’arancione fosse il colore usato anche per le divise nelle carceri.

E in quello stato misto tra catatonico e dead woman walking mi hanno lasciato fermentare per quasi due ore che ormai mi vedevo come nei programmi Tv portata via e processata per direttissima.

Leggevo già mentalmente i titoli sui quotidiani del giorno dopo.

” Nuovo attacco dell’Isis sventato ad Amsterdam”

“Donna italiana si finge drogata per sviare i controlli e introdurre sul volo un’arma contundente”.

” I vicini di casa dell’attentatrice dichiarano: lo sapevamo che non era una bella persona”.

Alla fine, arriva il capo e mi dice ” le è andata bene, vada”

Mi ridanno tutto, tranne ovviamente il Kubotan.

Sfilo davanti al Duty Free senza nemmeno un minimo di rimorso.

Arrivo all’imbarco e mi lascio cadere esausta sulla sedia.

Arm, arm, arm, rieccheggia ancora ovunque e addirittura sul tabellone delle partenze leggo “Departures AmsterdARM”

Che deficiente, LE MOLLETTINE oh, vacca boia e poi avevo un manganello in borsa.

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