Perché in fondo, poco conta il perché.
Contano i personaggi di queste storie, le loro vite precedenti e le loro emozioni durante.
Quelle per esempio di Patrick, dei suoi ultimi momenti in cui lì impietrito ed angosciato con un’ascia in mano, tenta disperatamente di abbattere ciò che lui sa essere imbattibile.
Lui che ha già capito subito che non si salverà mai e non demorde, tenta il tutto per tutto, per se stesso, per le sue colleghe e perché no per quelle centinaia di persone che ha solo intravisto salire a bordo, di cui non conosce i nomi ma sa che ci sono in mezzo tanti giovani, ha sentito le loro risate e forse, al decollo, avrà sperato che non facessero troppo baccano, non proprio oggi che ha il mal di testa.
Ed ora, con un piede verso la cabina ed uno verso il corridoio, sente arrivargli il pianto di un bambino e ha un tuffo al cuore….”Cielo ci sono anche bambini qui, come puoi fare una cosa simile Andrea! ”
E ricomincia a picchiare più forte, senza parlare, è inutile parlare, Andrea non si fermerà mai, quello ci porta tutti giù, non serve a nulla parlare, bisogna solo sfondare e picchia, picchia forte.
Le hostess atterrite dietro di lui che guardano i colpi rimbalzare contro la porta blindata, con le mani giunte a mò di preghiera, pronte ad intervenire in suo aiuto al primo monito di accesso.
Intanto a pochi metri, seduti ai loro posti, i passeggeri sorridono, dormono, chiacchierano ad alta voce tra di loro, dei loro progetti futuri o dei loro viaggi trascorsi.
Ci sono mille viaggi diversi accomunati da posti vicini.
Managers pronti a sciolinare la loro presentazione e poi tornare dalle rispettive famiglie.
Figli uniti alle madri nel momento della nascita ed in quello della morte.
Sposini freschi che sperano di arrivare presto a casa per passare dall’arredatore e digliene quattro visto che ormai sono sei mesi che gli promette di consegnargli quella libreria su misura.
La classe scolastica dei fortunati: quelli estratti a sorte, quelli che tutta la scuola hanno invidiato perché il destino ha deciso che loro sarebbero andati in Spagna a divertirsi e che domani racconteranno tutto alle loro madri e agli altri professori felici di essere stati premiati e di aver vissuto un’esperienza unica.
E c’è chi come me non sente nulla di tutto ciò che lo circonda, ha infilato le cuffiette appena a bordo, fottendosene altamente delle istruzioni in caso di ammaraggio, di depressurizzazione e di tutto ciò che ci va dietro.
La hostess sorridente che si infila un tubicino in bocca e gonfia con classe il giubbetto mi ha sempre dato l’idea di ipocrita.
Come se ti volesse convincere del fatto che basti gonfiare un sottile indumento per salvarti la vita.
Nessuno ti salva la vita se la vita ha già deciso per te.
Chissà se in fondo, anche chi quel giorno ha mostrato il mio stesso atteggiamento di sfida, si sia un po’ pentito realizzando ciò che stava per accadere.
E poi c’è lui, Andrea. Solo nella vita e solo in quella cabina.
Lui che non parla, respira.
Un respiro calmo, senza affanno che ora tutti tenteranno di decifrare ma da un respiro cosa mai potrai cavare fuori se non che fosse vivo e che a lui quell’essere vivo, non piaceva più.
Ha chiuso il mondo alle sue spalle, ha sbloccato il pilota automatico e ha puntato verso il basso. Senza ripensamenti né rimorsi.
Nella sua testa e nel suo cuore solo il vuoto.
E mentre la Lufthansa si affanna a tirar fuori i suoi premi come le sue lodi scaricando in fretta e furia qualsiasi responsabilità e tutte le altre compagnie europee emettono comunicati in cui dichiarano che da oggi nessun pilota potrà mai trovarsi solo in cabina, noi siamo qui ad immaginarci di essere sul prossimo volo con un Andrea, a guardare sporgendoci sul corridoio, quella porta nascosta dietro alla tendina con un po’ di angoscia e di domande a cui potremo rispondere solo arrivando a destinazione.
Mai come ora, sapendo bene che la nostra vita è in mano a dei semplici uomini che potranno decidere se permetterci di continuarla o terminarla