Il reato non sussiste per insufficienza di prove.
Con chi bisogna prendersela?
Coi giudici dell’appello che non potendo avere la prova regina dell’avvenuto pestaggio da parte degli agenti, li scagionano?
Coi medici che non distinguono un morto per fame da uno con le costole fracassate?
Con Cucchi che se non avesse avuto una vita squinternata, quella notte non sarebbe stato in quel parco?
Coi familiari di Cucchi che avrebbero dovuto tenerci prima anziché combattere per lui da morto?
Con i giudici dell’udienza preliminare che non hanno visto un morto che cammina?
Con gli investigatori che non hanno saputo o voluto produrre prove a carico degli imputati?
Con gli scaltri avvocati degli agenti, pronti a fare spallucce e a gridare non ci sono prove?
Coi testimoni delle celle accanto, presenti quella notte, che non hanno saputo essere convincenti poiché subito tacciati come poveri derelitti sociali?
Con i bravi avvocati dei medici che hanno convinto la corte della maldestra diagnosi causata da un drogato che ha portato caos in reparto?
Con i cavilli legali del nostro codice penale che tendono sempre a proteggere un quasi colpevole piuttosto che mettere in galera un non innocente?
Con la magistratura ed il suo immenso potere di decidere l’anno prima che sei colpevole grazie alle prove ed il successivo dichiararti innocente?
Sarà, ma queste vicende ultimamente mi mettono una tristezza addosso, perchè prende sempre più corpo la certezza che in questa società nessuno dichiari più la propria responsabilità, nessuno dica più la verità, nessuno parli più in assenza del suo avvocato e nessuno tocchi Caino con augurio di pace all’anima di Abele, chiunque in fondo a queste storie sia uno o l’altro.
Intanto c’è un ragazzo morto su un lettino d’autopsia, immortalato da una foto con il volto tumefatto ed il corpo scarnificato, divorato da una vita sbagliata o solo sfortunata, vittima di un sistema che emargina, ancor prima dei processi e delle tattiche difensive, chiunque nella vita inciampi in scelte sbagliate. Una società che ora grida allo scandalo, ma che se incontrasse oggi un Cucchi per strada, lo scanserebbe come un appestato, allontanandosi velocemente e lasciandolo lì al suo destino.
Che brividi ad immaginarsi un drogato che ti abbraccia, magari strafatto e pure puzzolente, uno che poi saresti il primo a segnalare alla polizia se si aggirasse sotto casa tua, perché sai, di sicuro spaccia, lascia siringhe, può diventare violento e mina la mia tranquilla vita borghese.
E poi, come per magia, tutti bravi ad innalzare totem commemorativi quando muore, a strapparsi le vesti e a correre in sua difesa quando non rappresenta più un problema, a trasformare queste vicende sempre con un velo di fazione politica giusto per strumentalizzare anche questa morte e fare di tutta l’erba un fascio.
Ed è così, zizzagando tra il retrogusto amaro di una morte ingiusta e la pacata colpevolezza di chi se l’è cercata, che la gente preferisce guardare l’epilogo di una triste storia, leggere il finale saltando a piè pari la prefazione per togliersi senza remore ogni responsabilità civile e comportamentale.
In fondo di Cucchi da vivo e di tutti i Cucchi oggi in qualche parco, non gliene frega una beata minchia a nessuno. L’importante è tenerli vivi da qualche parte, lontani, ma vivi.